Tufara – Il Diavolo. Riminiscenze di antichi riti
In un’armonia dimenticata con la natura, espressione di riti ancestrali rudi, misteriosi e magici, appare ‘il Diavolo’ antica maschera carnevalesca, che si manifesta, l’ultimo giorno di Carnevale a Tufara, in provincia di Campobasso, tra folli corse e acrobazie temerarie.
La figura caprina reca il tridente fra le mani, i suoi movimenti sono accattivanti, ma suscitano timore. Tutti vorrebbero evitarlo, ma ognuno in fondo al cuore spera di essere circondato ed inseguito dai suoi ululati.

Probabilmente è figlio della primavera, della bella stagione a venire, quando alla gemma, al germoglio si tributavano offerte perché crescessero più forti e abbandonati, o quando l’uomo per scrollarsi di dosso il gelo dell’inverno, esprimeva in riti coreutici l’intuizione del risveglio della natura, o forse come semplice moto di ribellione verso un ammonitore sociale delle coscienze ribelli.
La maschera conserva antiche caratteristiche da possiamo trarre le origini paniche, anche se il suo significato primitivo si è in parte perduto, sicuramente, se esisteva già in epoca pre-cristiana, rappresentava, la passione e la morte di Dioniso, i cui riti venivano celebrati comunemente nelle realtà legate alla economia agro-pastorale. Dioniso, cosi come la natura benigna e maligna, di cui era dio, moriva e si rinnovava perpetuamente.
Spesso questa divinità e stata accostata al dio Shiva del panteon indù e il caratteristico tridente che regge il Diavolo di Tufara è un elemento che accomuna le due culture anche se lontane nello spazio.
Il Diavolo di Tufara può essere ascritto a pieno titolo tra le maschere zoomorfe, come il rinato orso di Jesi o, gl’cierv, o l’animale feroce di Castelnuovo al Volturno.
Probabilmente sono tutti ricordi di forme sciamaniche che la chiesa in qualche modo a ripensato in ambito medievale, ma chiaramente non ci sono evidenze in tal senso. Così l’uomo che indossava le sette pelli di capra, il suo costume, in qualche modo è stato ‘declassato’ a mera maschera carnevalesca, con l’aggiunta di caratteri spesso estranei ad una ipotetica origine remota, ed è sotto questa forma che noi lo conosciamo oggi la forma rituale.
La maschera del diavolo Il Diavolo è preceduto o inseguito dalla morte, che è incarnata da due figure vestite di bianco che hanno il viso ricoperto di farina, proprio come capitava di vedere i mugnai nell’adempimento del loro lavoro, a rappresentare la purificazione e la trasformazione. La particolarità di queste figure è che indossano antichi accessori legati alla femminilità ed è un modo per tenere dentro la tradizione anche le donne che, altresì, ne sono escluse per il chiaro valore orgiastico di questo che era e resta un rito di passaggio stagionale.
La valenza simbolica è evidente: il seme muore per rinnovarsi e trasformandosi in un nuovo raccolto. Le figure vestite di bianco sono armate di falce, il cui roteare evoca i gesti metodici, ripetitivi dei contadini nei campi nel momento della raccolta che spesso erano accompagnati dal canto che nel rito del Diavolo di Tufara è sostituito dalle urla e dalle acrobazie delle maschere.
Non da meno è importante la figura vestita di nero che completa il quadro plastico in movimento, nera a contrastare il bianco dei ‘mugnai’, quella dei folletti che trattengono il Diavolo con delle catene, trascinandolo per le vie del paese. L’animale feroce, il Diavolo salta, si rotola, cade, si rialza e cerca di ‘sedurre’ chi incontra, al fine di fare adepti ed è compito delle figure che lo contengono affinché questo non accada.
